La censura a
Enzo Biagi

Enzo Biagi, in Rai dal 1961, è ritenuto l’inventore dell’approfondimento informativo. Dal 1995 conduce Il fatto, in onda su Rai1 subito dopo il Tg delle 20, dove il giornalista commenta la notizia del giorno. La trasmissione è seguita da una media di 6 milioni di telespettatori, con punte fino a 10 milioni. E’ il programma più visto della Rai, con uno share medio del 25%.

Biagi è in Rai in forza di un contratto annuale che scade alla fine di ogni anno solare. Una clausola stabilisce che in mancanza di nuova stipula per iscritto, il contratto si intende tacitamente rinnovato, salvo disdetta di una delle parti da comunicarsi all’altra entro 3 mesi dalla naturale scadenza.

Pochi mesi prima delle elezioni politiche del 2001, poi vinte da Berlusconi, Biagi ospita Indro Montanelli e Roberto Benigni, che non lesinano critiche al futuro premier. Da qui incominciano i problemi per Biagi. Con l’avvento del governo Berlusconi mutano i vertici Rai ed emergono problemi sulla collocazione de Il fatto. I nuovi dirigenti vogliono spostarlo per dare spazio ad un programma più lungo (almeno 20 minuti), in grado – così dicono di fare concorrenza a Striscia la Notizia, il Tg satirico di Canale5.

Il 18 aprile 2002 Berlusconi dalla Bulgaria fa capire ai vertici Rai che Biagi non è più gradito. La collocazione de Il fatto diventa sempre più problematica. Gli viene offerto uno spazio di qualche minuto prima del Tg: cosa che snaturerebbe il programma, che approfondisce una notizia appena acquisita dal telespettatore, e che pertanto va mandato in onda dopo il Tg. Inoltre, il direttore di Rai1 Del Noce pretende di controllare i temi trattati e la scaletta della trasmissione, che dovrà occuparsi di “questioni internazionali”.

Alla fine è Rai3 ad offrire ospitalità a Biagi, dopo il Tg delle 19. Ma il direttore generale Saccà si oppone adducendo il budget insufficiente della rete, aggiungendo che quella collocazione procurerebbe a Il fatto un basso share (ciò dopo che l’avevano tolto dalla fascia oraria immediatamente successiva al Tg1 delle 20). Le trattative vanno ad oltranza. Si arriva all’estate 2002. Molti politici accusano Biagi di non voler trovare un accordo. Il ministro Gasparri dice che Biagi occupa da 40 anni tutti gli spazi televisivi, e lo paragona al “confetto Falqui”.

A settembre, su Rai1 dopo il tg delle 20, al posto de Il fatto va in onda Max & Tux, una striscia comica del duo Solenghi Lopez, che dura dai 3 ai 5 minuti. Una decisione in evidente contraddizione con quanto sostenuto dai vertici Rai per giustificare la soppressione de Il fatto: collocare un programma lungo almeno 20 minuti per reggere la concorrenza di Striscia la Notizia. Antonio Ricci rivela che il direttore generale Saccà gli ha chiesto di “diluire” le prime puntate di Striscia la Notizia affinché Max & Tux non sfiguri. E il comprensibile rifiuto di Ricci consente al Tg satirico di Canale5 di sfondare per la prima volta il tetto del 40% di share.

Nonostante l’evidente perdita di ascolti in conseguenza della soppressione de Il fatto, il 26 settembre 2002 il direttore generale Saccà invia a Biagi raccomandata a.r., con cui dà disdetta al contratto, che dopo 4 giorni si sarebbe automaticamente rinnovato di un altro anno. Biagi scompare dai palinsesti Tv.

(Fatti tratti da: GOMEZ TRAVAGLIO, Regime, BUR, Milano 2005, pag. 63 ss.)
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Quella ad Enzo Biagi è con ogni probabilità la censura più clamorosa mai avvenuta in Rai, perché colpisce un monumento del giornalismo italiano, punta di diamante del servizio pubblico televisivo.

Sulla natura politica della censura a Biagi c’è poco da dire. Aveva più volte criticato Berlusconi, tanto da essere menzionato nel famoso “editto bulgaro”. E i problemi per Biagi incominciano proprio con la vittoria elettorale di Berlusconi, dopo che i vertici Rai vengono ricoperti da Saccà e Del Noce, suoi fedelissimi.

Quanto agli “elementi presuntivi” della censura, innanzitutto va considerato il successo di pubblico che il programma di Biagi riscuoteva, tanto da essere il più visto della Rai (dai 6 ai 10 milioni di telespettatori). E’ evidente la natura “masochistica” dell’atto di soppressione del programma, che testimonia la volontà dei vertici Rai di assecondare una volontà politica esterna, a danno della stessa Rai.

Inoltre, il comportamento adottato dai vertici Rai per giustificare la soppressione de Il fatto abbonda di contraddizioni. Ad esempio, la necessità di battere la concorrenza di Striscia la Notizia con un programma più lungo, mentre al posto de Il fatto viene mandato in onda Max & Tux, ancora più breve del programma di Biagi, che dimezzerà gli ascolti Rai facendo impennare quelli di Striscia la Notizia; le alternative offerte a Biagi che snaturano il programma e ne mutano l’oggetto, quale quella di andare in onda prima del Tg1 affrontando “questioni internazionali”; la pretesa dei vertici Rai di controllare la scaletta della trasmissione curata da un giornalista di chiara fama e quarantennale esperienza.

Un comportamento che assume particolare rilevanza è poi la richiesta avanzata al direttore del programma di una Tv concorrente (Antonio Ricci, Striscia la Notizia) di fare in modo che la sua trasmissione non strapazzi più di tanto Max & Tux, quella che ha sostituito Il fatto. A parte l’assoluta mancanza di professionalità che l’atteggiamento denota (oltre all’ingenuità di credere che Antonio Ricci potesse prestarsi a un simile gioco), qui vi è la prova che i vertici Rai erano perfettamente consapevoli che la soppressione de Il fatto avrebbe provocato un crollo degli ascolti.

Vi è poi il boicottaggio del tentativo di Rai3 di ospitare il programma di Biagi, adducendo prima problemi di bilancio, poi la circostanza che, nelle previsioni dei censori, Il fatto collocato dopo il Tg3 avrebbe ottenuto un misero 5% di share. E’ paradossale addurre problemi di budget per la trasmissione più vista della Rai, considerando la raccolta pubblicitaria che garantisce. Ma è ancora più paradossale ostacolarne la messa in onda paventando un basso share, dopo averla tolta da una fascia oraria che ne raccoglieva uno medio del 25%!

Alla luce di queste considerazioni, appare grottesco l’invio a Biagi della raccomandata a.r. per impedire il rinnovo naturale del contratto. Al di là degli inevitabili giudizi etici che stimola un simile comportamento, è sorprendente come i vertici Rai abbiano potuto pensare che l’adozione di un ordinario strumento di risoluzione dei rapporti giuridici potesse ricondurre l’intera fattispecie nei binari della legalità. Quella raccomandata non fa altro che peggiorare le cose, poiché prova che ogni precedente comportamento è stato posto in essere al solo scopo di impedire che Biagi potesse prestare qualunque attività giornalistica in favore della Rai. E’ come se il proprietario di un immobile pensasse di risolvere impunemente un contratto di locazione mandando rituale disdetta alla scadenza, dopo aver tenuto il conduttore per più di un anno senza luce, acqua e gas nella speranza che rilasciasse spontaneamente l’immobile.